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Torri e Fortezze dell’Argentario

 

 

Torri e Fortezze dell’Argentario

La spada dell’Islam

-I corsari barbareschi

Torri

-T. dell’Argentiera
-T. di Lividonia
-T. della Cacciarella
-T. di Calamoresca
-T. di Calapiccola
-T. di Capodomo
-T. della Maddalena
-T. delle Cannelle
-T. Ciana
-T. dell’Avvoltore

Torri non più esistenti:

-T. di Calagrande
-T. del Calvello
-T. di Santa Liberata
-T. della Peschiera
-T. del Pagatore

Fortezze

-Forte Filippo
-Rocca di Porto Ercole
-Forte Stella
-Fortezza di P.S.Stefano

Il territorio di Monte Argentario è stato munito nei secoli tra il XV e XVII di numerose torri di avvistamento e fortezze. Delle prime alcune sono ancora in buono stato di conservazione. Altre, purtroppo, sono semidistrutte o sono state completamente abbattute in tempi recenti. Le fortezze invece, soggette a periodici restauri, si conservano integre e possenti.

Torri di avvistamento 

Sono situate, tranne una, in punti strategici della costa che consentono una grande visibilità del tratto di mare antistante. Le più antiche furono costruite, talvolta su manufatti preesistenti, nel XV sec. dalla Repubblica Senese il cui dominio si estendeva a partire dal 1410 fino al promontorio dell’Argentario. Il loro scopo era principalmente l’avvistamento in tempo utile di navi corsare le cui scorrerie, in particolare ad opera di Khayr al Din, il famoso Barbarossa, terrorizzavano le popolazioni dell’area. Successivamente, con la dominazione Spagnola sotto Filippo II a partire dal 1550 e la successiva creazione dello Stato dei Presidi comprendente Orbetello, Porto Ercole, Porto Santo Stefano e Talamone, le torri di avvistamento ebbero l’ulteriore scopo di presidiare un’importante area di transito delle navi spagnole, fornendo approdi sicuri sulla rotta che collegava la Spagna al suo regno-satellite di Napoli.

Fortezze

La fortificazione dell’Argentario è stata realizzata dagli Spagnoli, spesso su costruzioni preesistenti, nel XVI e XVII secolo con la costruzione del Forte Filippo, la Rocca e il Forte Stella a Porto Ercole e della Fo

Capalbio e la sua storia

STORIA DI CAPALBIO IN BREVE


Non si può parlare della storia di Capalbio senza accennare che l’uomo soggiornò nel suo territorio fin dai tempi più remoti.
La grotta dei Sassi Neri ed altre grotte che si trovano nei suoi dintorni hanno dato, a più riprese, abbondanti materiali di prova che furono abitate dall’uomo delle caverne durante l’epoca della pietra, specialmente eneolitica.
Nella località Garavicchio furono rinvenute alcune tombe dell’età del bronzo.
Successivamente questo vasto territorio, allora salubre e fertile, fu abitato dagli etruschi, da collocare tra i secoli VIII e II a. C. e quindi dai romani; i due popoli costruirono importanti insediamenti e fortificazioni, i cui resti vengono tutt’ora ammirati e studiati.
Capalbio viene citato, sicuramente, la prima volta nel 1161, in un privilegio di papa Alessandro III con il quale conferì a tale Baldinone, Abate del Monastero romano delle Tre Fontane, il possesso di quei territori, nei quali si trovavano la città di Ansedonia, il castello chiamato Orbetello, quello del Tricosto, di Capalbio, di Marsiliana, Scerpena ed altri castelli, chiese, laghi, foreste, nonchè il Monte Argentario.
Circa queste antiche citazioni di Capalbio è necessario dire qualcosa su un altro documento storico: il Diploma di Donazione dell’anno 805, col quale Carlo Magno e Papa Leone III concedevano a Sant’Anastasio ed al suo Monastero alle Acque Salvie di Roma un esteso territorio di questa parte della Maremma, fra cui anche Capalbio. Il testo di tale diploma fu riprodotto sopra una tavola di bronzo dorato che, secondo quanto asseriscono alcuni storici, sarebbe esistita sino alla fine del Sec. XIV, nella chiesa detta dell’Abbazia delle Tre Fontane, fuori porta S. Paolo in Roma.
La maggior parte degli storici giudicano il documento falso diplomaticamente e, per conseguenza, apocrifa la copia suddetta. Tuttavia c’è chi ritiene che il privilegio esistesse di fatto, quale diritto feudatario che aveva origini molto remote.
Si tratterebbe, pertanto, di un documento redatto verso la fine del Sec. XI, in base a privilegio già goduto, che, in seguito, per assicurarne la durata, si fece riprodurre in una tavola di bronzo.
Capalbio seguì, al pari di Orbetello, le vicende del patrimonio del Monastero e, successivamente, di quella parte della contea aldobrandesca che fu soggetta, nel corso del XIII secolo, alle contrastanti influenze politiche di Siena e di Orvieto.
In questo periodo fu sottoposto al dominio di una famiglia signorile locale (forse discendente da quel Guido di Capalbio citato in un documento del 1203), che si alleò con gli orvietani contro gli Aldobrandeschi di Santa Fiora e i Baschi di Montemerano, allo scopo di resistere alle loro pretese.
Tuttavia, la potente famiglia degli Aldobrandeschi, che si era insediata in Maremma fin dal IX secolo, con abili mosse politiche riuscì ad avere l’investitura feudale di quelle terre sia dal Papa che dall’Imperatore.
Fu così che anche Capalbio venne a far parte della vasta proprietà comitale di questa famiglia.
Con ogni probabilità furono i conti Aldobrandeschi a far erigere, intorno al 1100, periodo in cui la famiglia longobarda raggiunse il massimo splendore, la doppia cerchia di mura e la torre che porta il loro nome, con lo scopo di difendere nel migliore dei modi il castello di Capalbio.
Il declino degli Aldobrandeschi ebbe inizio con la morte di Ildebrando VIII (1216) a cui corrispondono la divisione e il frazionamento della contea, proprio nel momento in cui le mire espansionistiche di Siena e di Orvieto diventavano più pressanti.
Sul finire del XIII secolo Orvieto conquistò il castello di Capalbio, la rocca di Orbetello e i territori limitrofi, riuscendo a realizzare l’ambito sogno di avere uno sbocco al mare.
L’impegno per mantenere questi nuovi possedimenti maremmani non fu però lieve, come risulta dai registri del coro di Orvieto, ove sono descritti gli aiuti richiesti da Capalbio per fronteggiare l’assedio sferrato dai conti di Santa Fiora negli anni 1315-1316.
A questo punto diventa difficile seguire le vicende del territorio di Capalbio, da molti conteso. Si sa che il 14 novembre 1343 Jacopo da Santa Fiora, possessore di due quarti del territorio della comunità di Capalbio, lasciò in forma testamentaria i suoi beni a Siena.
Il passaggio definitivo a Siena venne ufficialmente sancito il 17 settembre 1416, con atto di sottomissione contenente clausole molto vantaggiose per Capalbio e la sua popolazione, come l’esenzione per dieci anni da ogni imposta, la cancellazione dei debiti e delle condanne contro i capalbiesi, la concessione di terre e risarcimento di 700 fiorini per i danni subiti durante la guerra. Inoltre, con questo atto, Siena si fece carico del restauro della cinta muraria di Capalbio.
Siena dunque provvide al restauro delle mura del Castello e appose una targa marmorea sopra la porta d’ingresso ove è scritto: “Sum calvus, felix tutusque leone senensi quo feror et muris propria pietate refectis his primis hoc toto etiam, qui circuit ipsos millequater centum currentibus annis denisque bisque duos orbis iam volverat annos.” Dice Aldo Mazzolai nel suo bel libro “Storia ed Arte della Maremma”: “Di essa il D’Annunzio, amico spesso presente nella gaia brigata del Collacchioni e del Puccini, dette tra una baldoria e l’altra la seguente traduzione: “Sono Capalbio felice, difeso dal leone senese dal quale sono protetto, e da queste prime mura restaurate a proprie spese e dalle altre mura che circondano le prime, correndo gli anni millecinquecentoquattro oltre i quali il mondo aveva girato dieci anni e più volte due.”
In quello stesso periodo i Senesi decisero di aggiungere il loro leone allo stemma di Capalbio e, da quel momento, il felino rampante sta a brancare l’originale testa umana calva.
La dominazione senese fu per Capalbio un periodo di prosperità caratterizzato dalla realizzazione di significative opere architettoniche, come chiese e conventi e dalla costruzione di nuovi edifici fuori le mura.
In questo periodo, in particolare dal 1425 al 1475, furono definite antiche controversie confinarie con Tricosto e Montalto ed altre importanti e sempre rimandate transazioni con gli Stati e comunità confinanti.
Nella seconda metà del XV secolo scoppiò una forte pestilenza (1464) che decimò la popolazione e si intensificarono le incursioni dei corsi e dei saraceni che più volte sbarcarono e depredarono questa parte del litorale della Maremma, durante il periodo 1464-1476. E’ dello stesso periodo un importante accordo fra Capalbio e Orbetello “affinchè i saraceni non rechino danni alle persone delle nostre terre come hanno sempre fatto”.
La prima metà del ’500 fu per Capalbio un periodo florido per un borgo dell’epoca, ma, purtroppo, anche questa parte della Maremma venne coinvolta dagli avvenimenti che caratterizzarono la politica internazionale di quel periodo.
Le lotte di predominio tra Spagna e Francia sono al centro di gran parte degli avvenimenti di questo secolo, avvenimenti che porteranno ad un nuovo assetto politico e sociale di quasi tutta l’Europa.
Anche Siena, e quindi il territorio che ci interessa, non rimase immune da quegli sconvolgimenti.
Col trattato del 1557, sottoscritto tra Filippo II e Cosimo I de’ Medici, si verificò la cessione dello Stato di Siena al Duca di Firenze, mentre la corona di Spagna si riservò le piazzeforti di Orbetello, Talamone, Porto Ercole, Porto S. Stefano e Porto Longone, che divennero il piccolo Stato dei Reali Presìdi Spagnoli in Maremma.
Le condizioni economiche della Maremma, e, quindi, di Capalbio, subirono una lunga stagnazione, nonostante la concessione di alcuni privilegi da parte del Granduca (1598) e ciò a causa di diversi fattori, tra cui l’insalubrità delle aree paludose, la grande distanza dal potere centrale, la dislocazione in prossimità dei confini dello Stato, la mancanza di una rete viaria adeguata, le incursioni dei turchi, ecc.
L’aria malsana costituì uno dei principali problemi che l’intera Maremma si trovò ad affrontare durante tutto il secolo XVII e significativo di questo periodo fu lo spopolamento dovuto appunto agli effetti della malaria.
Questa situazione fu sicuramente un freno allo sviluppo economico e sociale della zona, accentuato dalla posizione spagnola che per ragioni politiche e militari, non vedeva con favore la presenza di roccaforti o castelli nelle vicinanze dei loro Presìdi.
Il 1600, pertanto, non fece registrare fatti di grande importanza per Capalbio.
A questi notevoli cambiamenti nell’ambito politico amministrativo non corrispose un cambiamento della situazione di degrado dal punto di vista economico e sociale. Tale negativa situazione cominciò a migliorare, anche se lentamente, nel corso del secolo successivo.
Il passaggio della Maremma ai Lorena fece perdere a Capalbio l’autonomia amministrativa, vennero istituiti nuovi comuni, mentre alcuni comuni e comunelli persero la loro autonomia amministrativa. Come abbiamo visto, ciò accadde anche a Capalbio.
In particolare, i comuni costituiti nella provincia di Grosseto furono 18: quello di Manciano riuniva lo stesso Manciano, Montemerano, Capalbio e il comunello di Marsiliana.
La legge del 1783 sanciva la definitiva perdita dell’autonomia di Capalbio e di altri comuni e comunelli, mentre dal punto di vista istituzionale essa fu considerata conclusiva dell’evoluzione del Comune medievale ed iniziatrice del Comune moderno.
Nel 1842, con sovrana risoluzione, Capalbio veniva a far parte del Comune di Orbetello.

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IL MARE DI CAPALBIO

IL MARE

LitoraleLe spiagge di Capalbio si estendono per circa 12 km, confinando a nord con il comune di Orbetello e proseguendo sino alla fine della Toscana. Vi sono solo 3 accessi al mare: all’inizio, alla fine e nel centro. Grazie alla presenza dell’oasi del WWF e ad un afflsso di persone limitato dai pochi parcheggi il litorale è perfettamente conservato. Ci sono circa 6 km di spiaggia libera delimitatata dalla macchia mediterranea formata prevalentemente da ginepri.

Spiaggia ArgentarioQui la costa si presenta frastagliata con piccole insenature, promontori, la sabbia va da quella fine a quella ferrosa e nera ed il mare è limpido, dal colore turchino.

Argentario. Per che vuole visitare altre spiagge nelle vicinanze si può raggiungere l’Argentario dove si possono trovare numerose calette ma non sempre facilmente raggiungibili, alcune addirittura accessibili solo in barca. Qualche nome: la spiaggia dell’”Acqua Dolce”, la “Cantoniera”, la “Spiaggia Lunga” e “La Sanità”.

IL PARCO DELLAMAREMMA

Gli itinerari Stampa
Il Parco della Maremma affacciato sul mar Tirreno e sul Parco dell’Arcipelago Toscano, si estende per 25 km con una catena di colline che discendono verso il mare, spiagge sabbiose e alte scogliere, circondata da paludi, pinete, campi coltivati e pascoli. Tra i profumi intensi di erbe aromatiche, bacche colorate e richiami degli animali, il Parco accoglie il visitatore mostrando il suo lato dolce e allo stesso tempo, selvaggio. Un contrasto di elementi che risveglia e libera il piacere di sentirsi in un paradiso ritrovato.

Una occasione per “rimettere le lancette dell’orologio”, accordandole con i tempi dell’anima.

Come si visita 

Il Parco è aperto tutto l’anno, tutti i giorni della settimana. Prima di entrare è necessario acquistare i biglietti di ingresso presso il Centro Visite. Gli itinerari possono essere percorsi sia singolarmente che in gruppo, accompagnati o meno da una guida, in base al periodo dell’anno.

Prima di salire sull’autobus occorre munirsi del biglietto di ingresso al Parco della Maremma comprensivo del trasporto già convalidato ed acquistabile presso la biglietteria del centro visite in loc. Alberese.

Consigli utili 

• Calzare scarponi da trekking .
• Portare acqua da bere, un k-way, un cappello e un antizanzare che, in alcuni periodi dell’anno, può essere utile.

Come comportarsi nel Parco
• Rimanere sui sentieri indicati
• È vietato, e molto pericoloso, accendere fuochi e introdurre animali domestici, anche se al guinzaglio. La loro presenza può essere fonte di disturbo, diretta o indiretta, per molte specie di fauna selvatica. Alcune patologie “fisiologicamente” presenti nelle popolazioni selvatiche possono inoltre essere trasmesse al cane mediante escreti eventualmente presenti sul terreno o sulla vegetazione.
• Non disturbare gli animali selvatici e non dar loro cibo. Questa pratica può provocare la trasmissione di patologie, creare dipendenza di alcuni individui dall’uomo e interferire nei cuccioli con il processo di apprendimento che li rende in grado di procacciarsi il cibo autonomamente. Per l’uomo esiste inoltre il concreto pericolo di ricevere morsi (anche involontari) con conseguenti lacerazioni di diversa entità e possibile trasmissione di patologie.
• Non lasciare rifiuti.
• Rispettare le piante, gli animali e l’ambiente.
• Evitare rumori molesti.

 Visitare il Parco in Estate

 Con l’entrata in vigore della disciplina estiva contro gli incendi boschivi imposta dalla Regione Toscana nel periodo estivo, il Parco è visitabile con una modalità ben definita. Da giovedì 11 settembre gli itinerari del Parco sono tutti aperti e visitabili senza guida obbligatoria poiché cessa la disciplina contro gli incendi.

 Visitare il Parco in Primavera, Autunno e Inverno

 Il Centro Visite è aperto dalle ore 8.30 alle ore 14.00. Durante questo periodo dell’anno le visite sono senza obbligo di guida pagando un biglietto di ingresso, con orario a partire dalle ore 9.00 fino ad 1 ora prima del tramonto. L’ingresso fino all’inizio dei percorsi è solo tramite navetta.

Servizio “navetta a chiamata”

Da lunedì 3 novembre 2014 al 20 marzo 2015 sarà attivo il “servizio navetta a chiamata” per visitare il Parco della Maremma. Il servizio, totalmente telefonico è spiegato di seguito:

con una chiamata al seguente numero 0564/407098 attivo tutti i giorni dalle 8.30 alle 14.00 si prenota la corsa per il giorno e l’ora desiderati. Si potrà prenotare entro le ore 14.00 del giorno precedente allo spostamento. Sarà comunque possibile aggregarsi a corse gia’ programmate fino ad un numero max. di 15 partecipanti. 

 Il Sabato e i festivi il servizio non è a chiamata ed è svolto regolarmente senza prenotazione.

Prima di salire sull’autobus occorre munirsi del biglietto di ingresso al Parco della Maremma comprensivo del trasporto già convalidato ed acquistabile presso la biglietteria del centro visite in loc. Alberese.

L’autobus sarà contrassegnato dalla scritta “Navetta Parco”. Sarà possibile prenotare anche per più giorni fino ad una max di 7 giorni.

Il Parco offre, inoltre, l’opportunità di visite a cavallo, in carrozza, in canoa e in bici. Da Alberese parte la pista ciclabile lunga 8 km e 1/2 che raggiunge Marina di Alberese.

 Le visite sugli itinerari (T1, T2 E T3) di Talamone sono obbligatoriamente guidatein estate (in questo periodo il T3 è chiuso), accessibili autonomamente, a pagamento, in primavera, autunno e inverno. Info e biglietti presso il presso il Centro Visite di Alberese, tel. 0564-407098, centrovisite@parco-maremma.it.

Per info e prenotazioni delle guide Centro Visite di Alberese

tel. +39 0564 407098, e-mail: centrovisite@parco-maremma.it

 

PITIGLIANO,SORANO E SOVANA: LE CITTÀ DEL TUFO

Pitigliano,Sorano e Sovana: le città del Tufo

Queste tre caratteristiche città si trovano nella parte sud-est della Maremma (non lontano dal confine col Lazio), ma non avendole mai visitate ho voluto includerle nel mio programma di viaggio. Sono probabilmente le più note tra le cosidette “città del tufo” della Maremma, che in questa zona è caratterizzata dalla presenza di questa roccia di origine vulcanica.

Il borgo antico di Pitigliano è in assoluto il più bello e scenografico, scavato completamente nel tufo su di una rupe. Passeggiando al suo interno ho avuto l’ impressione che potrebbe essere curato molto meglio, ho avuto quasi l’impressione di una città-fantasma. Molte case del borgo oltretutto sono in vendita, e la sfilata di cartelli “vendesi” probabilmente ha accentuato la mia impressione. Parlando con le persone del luogo ho avuto la conferma che non c’è una grande attenzione per il turismo, nella convinzione che la zona attragga già turisti a sufficienza senza necessità di miglioramenti. Un vero peccato a mio parere perchè lo scenario è davvero straordinario, ma potrebbe essere valorizzato molto di più.

Sorano è più piccola, ma mi è sembrata più “vivace”. Il borgo è protetto dall’ imponente Fortezza Orsini, costruita su uno sprone tufaceo. Addentrandosi per le vie del borgo si arriva al Masso Leopoldino, costruito nel 1700, nel quale è stata creata una terrazza dalla quale si gode di un splendido panorama.

Di Sovana mi ha colpito in particolare la maestosa Cattedrale, risalente al XII-XIV secolo. A pochi chilometri dal paese si trova una necropoli etrusca, che non sono riuscita a visitare, ma credo valga la pena. Tutta questa zona probabilmente avrebbe meritato almeno un paio di giorni di visita (vicino si trovano anche le Terme di Saturnia, dalle calde e benefiche acque sulfuree), per cui non mi resta che tornarci presto!

Riserva Naturale Statale Duna di Feniglia

Riserva Naturale Statale Duna di Feniglia

Località Feniglia – 58015 Orbetello (GR) – Tel. 0566/40019 E-mail: utb.follonica@corpoforestale.it

La Riserva Naturale Statale Duna di Feniglia, istituita nel 1971 e gestita dal Corpo Forestale dello Stato, si estende su una superficie di 474 ettari ed è lunga sei chilometri. L’intera riserva è percorsa da una strada non asfaltata e chiusa al traffico urbano ed è una zona ideale per correre e passeggiare o andare in bicicletta in mezzo al verde. La riserva separa il mare aperto dalla laguna di Levante di Orbetello. Ad intervalli regolari, di circa 1 km., si aprono dei sentieri che conducono direttamente sull’omonima ed incontaminata spiaggia o in riva alla laguna. La parte che sia affaccia sulla laguna è dotata di capanni per l’osservazione ornitologica. All’interno della riserva è presente sia un percorso con attrezzi ginnici in legno, sia un sentiero natura per non vedenti. La vegetazione è composta da pini marittimi, pini domestici, lecci, sughere, ginepri, arbusti della macchia mediterranea, … La flora è composta invece da molti daini, alcuni cinghiali, volpi, tassi ed altri roditori. Lungo il sentiero troverete anche la stele in memoria del Caravaggio, sembra infatti che nel 1610 il celebre pittore fu trovato moribondo su questa spiaggia per poi morire subito dopo.

Per saperne di più visita il sito ufficiale